LA STELLA DI NATALE
di Boris Pasternak

Testo completo della poesia
tradotta in italiano

Era inverno.
Soffiava il vento dalla steppa
e aveva freddo il Bambino nella grotta
sul pendio della collina.

Lo scaldava l’alito del bue.
Gli animali domestici stavano nell’antro,
sulla mangiatoia aleggiava un tiepido vapore.

Scossisi dalle pelli la paglia del giaciglio
e i grani di miglio, I pastori assonnati
guardavano alla lontananza di mezzanotte.

Lontano c’era un campo innevato e un cimitero,
staccionate, pietre tombali,
stanghe di carri nella neve,
e il cielo sul cimitero pieno di stelle.

Ma vicino, ignota fino allora,
più timida di un lumino,
alla finestrina di un capanno,
baluginava la stella sulla via di Betlemme.

Ardeva come un pagliaio,
in disparte da cielo e da Dio,
Come il riverbero di un incendio,
Come masseria in fiamme e fuoco in un granaio.

Si alzava come un covone ardente
di paglia e di fieno
in mezzo all’universo intero,
allarmato da questa nuova stella.

La sovrastava un bagliore sempre più acceso,
e qualcosa significava,
e i tre scrutatori di stelle
accorrevano al richiamo di fuochi mai visti.

Li seguivano i doni sui cammelli,
e gli asinelli bardati, uno più piccolo dell’altro,
scendevano la montagna a piccoli passi.

E, come strana visione di tempi futuri,
si alzò in lontananza tutto ciò che avvenne poi.
Tutti i pensieri dei secoli,
tutti i sogni, tutti i mondi,
tutto l’avvenire di gallerie e musei,

Tutte le burle delle fate,
tutte le opere dei maghi,
tutti gli alberi di Natale del mondo,
tutti i sogni dei bambini.

Tutto il tremolio delle candele accese, tutti i festoni,
tutto lo sfarzo del luccichio colorato…
Sempre più cattivo e furioso
soffiava il vento dalla steppa…

Parte dello stagno era nascosta dalle cime degli ontani,
ma l’altra si vedeva benissimo anche da qui.
Attraverso i nidi dei corvi e gli apici degli alberi.

I pastori riuscivano a distinguere bene
come sull’argine andavano gli asini e i cammelli.
“Andiamo con tutti, inchiniamoci al miracolo”
dissero allacciandosi le pelli.

Avevano caldo per la camminata nella neve.
Orme di piedi scalzi portavano alla capanna,
sulla radura chiara come fogli di mica.
A quelle orme, come a fiamma di moccolo,
ringhiavano i cani sotto la luce della stella.

La notte di gelo pareva di fiaba,
e qualcuno dai monti nevosi di tormenta
continuava a unirsi non visto a loro.
I cani si trascinavano guardandosi in giro inquieti,
e si stringevano al pastore e attendevano sventure.

Proprio per quella strada, proprio per quel luogo
passò qualche angelo nel folto della folla.
L’incorporeità li rendeva invisibili,
ma il passo lasciava l’impronta del piede.

La gente in frotta s’affollava alla rupe.
Albeggiava.
Si profilavano i tronchi dei cedri.

“E voi chi siete?” chiese Maria.
“Siamo stirpe di pastori e inviati dal cielo.
Siamo venuti a dar lode a entrambi voialtri.”
“Non si può tutti insieme. Aspettate all’ingresso.”

Grigia come cenere la foschia del mattino.
Battevano i piedi mulattieri e pecorai,
chi era a piedi litigava con chi era a cavallo.
Presso il tronco cavo dell’abbeveratoio,
mugghiavano i cammelli, scalpicciavano gli asini.

Albeggiava. L’alba spazzava dalla volta celeste
le ultime stelle, come granelli di cenere.
E di tutta l’innumerevole folla solo i Magi
Maria fece entrare nella fenditura della roccia.

Lui dormiva, tutto raggiante, nella mangiatoia di quercia,
come raggio di luna nelle profondità di un albero cavo.
Invece che pellicce di pecora
aveva labbra di asino e nari di bue.

Rimasero nell’ombra,
in quel buio di stalla
sussurravano,
trovando a stento le parole.

D’un tratto qualcuno nell’oscurità
con la mano scostò
dalla mangiatoia un Magio verso sinistra,

E quello si voltò:
dalla soglia alla Vergine,
come un ospite,
guardava la Stella di Natale.



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